Vai al contenuto della pagina

International Migration Outlook 2020, l'impatto del Covid-19 su migrazioni e integrazione

La pandemia di Covid-19 e le sue ricadute economiche colpiscono sensibilmente migrazioni e processi di integrazione. I governi devono assicurare la salute e la sicurezza di tutti i lavoratori nelle attività essenziali e continuare a investire sull’integrazione perché i migranti possano ancora dare il loro contributo alla società e all'economia”. Questo quanto ribadito dall'Ocse che, pochi giorni fa, ha presentato l’ International Migration Outlook 2020, e l'accompanying report "What is the impact of the COVID-19 pandemic on immigrants and their children?".

Nel 2019, prima dell'emergenza sanitaria, i flussi migratori nell’Ocse contavano 5,3 milioni di arrivi, perfettamente in linea con i due anni precedenti. Pur essendo calati gli arrivi di rifugiati, le migrazioni per lavoro non temporaneo erano salite oltre del 13% e anche quelle per lavoro temporaneo erano aumentate, superando i 5 milioni di ingressi.

Con l’avvento della pandemia quasi tutti i paesi Ocse hanno imposto restrizioni agli ingressi dall’estero: il risultato è che nella prima metà del 2020 il rilascio di visti e permessi nei Paesi Ocse è crollato del 46% rispetto allo stesso periodo del 2019. Un record mai registrato. Nel secondo trimestre, il calo è arrivato al 72%. Quest’anno di preannuncia quindi senza precedenti per il basso livello di migrazioni nell’area Ocse. Secondo i ricercatori, non si tornerà facilmente indietro: la bassa domanda di lavoro, le restrizioni, l’uso del lavoro a distanza tra lavoratori qualificati e dell’apprendimento a distanza tra studenti manterranno bassa la mobilità.

“La migrazione continuerà a giocare un ruolo importante per la crescita economica e l’innovazione, così come nella risposta al rapido cambiamento dei mercati del lavoro”, ha detto il segretario generale dell’Ocse Angel Gurría, presentando il rapporto con il commissario europeo agli Affari interni Ylva Johansson. “Abbiamo bisogno di evitare passi indietro sull’integrazione e di riaffermare che la migrazione è parte integrante delle nostre vite”.

I lavoratori migranti sono stati in prima linea durante la crisi e rappresentano una quota importante nelle professioni sanitarie nell’Ocse: 1 medico su 4 e 1 infermiere su 6. In molti Paesi Ocse, oltre un terzo della forza lavoro in altri settori chiave, come trasporti, pulizie, industria alimentare e IT, è rappresentato da migranti.

Eppure, stanno affrontando tempi duri nel mercato del lavoro. Molti dei progressi degli scorsi anni sui tassi di occupazione dei migranti sono stati cancellati dalla pandemia. In tutti i Paesi che hanno reso disponibili dati, la disoccupazione è cresciuta tra i migranti più che tra i nativi. Gli incrementi maggiori si sono registrati in Canada, Norvegia Spagna, Svezia e Stati Uniti. In Svezia, quasi il 60% dell’incremento iniziale della disoccupazione ha colpito i migranti. Negli Stati Uniti, la disoccupazione tra i migranti era inferiore di un punto percentuale rispetto a quella tra i nativi prima della pandemia, ora la supera di due punti.

I migranti, sottolinea infine l’Ocse, sono altamente esposti all’impatto della pandemia sulla salute, perché lavorano in prima linea, ma anche per altre vulnerabilità connesse, come le condizioni di alloggio e povertà. Studi in diversi paesi Ocse hanno scoperto un rischio di infezione almeno doppio rispetto a quello dei nativi.

“Andare avanti, far funzionare bene le politiche di migrazione e integrazione – conclude l’Ocse - sarà essenziale per una ripresa forte e veramente inclusiva”.

Leggi l' OECD International Migration Outlook 2020 dell'Ocse e l’ accompanying report "What is the impact of the COVID-19 pandemic on immigrants and their children?".

  • CONDIVIDI SU: